FIGURE MUTILE 1985/1990

Ho bisogno di spazio e di grandi dimensioni. Vivo in una realtà limitata che mi stritola.
Quando vedo le mie sculture all’aria aperta, posate a terra o addossate a pareti, con il sole che le scalda e le accentua, sono felice. Mi spoglierei per sentire aria sulla pelle abbracciando i volumi dei miei pezzi caldi, gelidi o bagnati che siano.

Non riesco più a pensare alla scultura medio piccola. Quando disegno il foglio non basta mai, come pure il tavolo e la luce.
Geometrizzo, geometrizzo in una avventura quasi del tutto inconsapevole. Ricerco richiami visivi ovunque. Metto ordine ed equilibrio come nel timore di cedere al fuori controllo. In modo altalenante mi pervade un nervoso demoniaco.

Per rendere un’opera comunicativa è necessario concedere spazio non solo fisico, a lei ed a chi la osserva. Se un pezzo è totalmente descritto è tutto “detto”, totalmente espresso, per cui diviene muto e imposto dogmaticamente.

Il movimento di una scultura è accentuato se rimane sospeso, suggerito e non compiuto.
Ciò che manca suscita vibrazione facendosi notare come capita a qualsiasi disequilibrio.

Penso al “Torso del Belvedere” , via testa, braccia, gambe, ciò che rimane di quegli equilibri mostra squarci, ferite e mancanze che, chi osserva, sogna e idealmente ricostruisce.

Genova, 1990